Come può l’insegnamento della storia cambiare il mondo di oggi?
“Max van der Stoel, nelle Raccomandazioni dell’Aia, ha dimostrato grande intuizione scegliendo di insistere sull’istruzione. Nel gestire la transizione da un regime non democratico alla democrazia è necessario affrontare una delle questioni più sensibili e difficili, vale a dire l’istruzione scolastica. È nelle scuole che occorre stabilire la diversità, cercando poi di avere successo come società.
Raggiungere un consenso sulle politiche in campo educativo è tuttavia un compito arduo. Tutti i conflitti nelle società, siano essi culturali, religiosi, linguistici e socio-economici, si rispecchiano nell’istruzione.
Nel mio paese, il Belgio, ad esempio, lo Stato ha avuto serie difficoltà a riconoscere le tre comunità linguistiche, quella fiamminga, quella francese e quella tedesca. Negli anni cinquanta ci fu la cosiddetta “guerra scolastica”, un conflitto sociale tra cattolici, massoni, la regione settentrionale e quella meridionale. Un’intesa fu infine raggiunta con la firma di un patto nel 1958. Lo Stato accettò di co-finanziare le scuole confessionali a condizione che queste riuscissero a garantire standard di qualità e di uguaglianza e che gli insegnanti disponessero delle necessarie qualifiche formali. Solo dopo aver raggiunto un consenso in materia di istruzione è stato possibile ottenere concessioni in altri campi.
Oggi in Europa siamo di fronte a una grande sfida educativa con l’arrivo di 200.000 nuovi bambini migranti. Che cosa dovremmo fare? Prima di tutto occorre accettarli e rispettare i diritti fondamentali dei rifugiati e dei cosiddetti migranti illegali. Dobbiamo riconoscere il ruolo primario dell’istruzione per il loro futuro e per il futuro della società.
Potremmo considerare tutto ciò come un’enorme opportunità. Alcuni paesi, come la Germania, sono di questo avviso. Nel campo dell’istruzione superiore, ad esempio, sta creando posti per studenti in modo massiccio. È l’unica risposta possibile. La riluttanza non è un’opzione.
Riuscirà l’Europa a rispondere ai bisogni educativi di base dei nuovi arrivati? La questione è urgente. Dobbiamo investire, creare capacità e formare gli insegnanti. In caso contrario nasceranno tensioni, frustrazioni e l’Europa fallirà. In prospettiva, si tratta per l’Europa del tema più delicato nei decenni a venire.”
Jan de Groof è il fondatore e Presidente della European Association for Education Law and Policy (ELA). In qualità di docente universitario e consulente per organizzazioni internazionali, ha partecipato a diverse missioni diplomatiche del primo Alto Commissario OSCE per le minoranze nazionali, Max van der Stoel.
Domande e risposte con Joke van der Leeuw-Roord
Come può l’insegnamento della storia cambiare il mondo di oggi?
Nell’ultima sezione delle Raccomandazioni dell’Aia, dedicata allo sviluppo dei piani di studio, i paesi sono incoraggiati a garantire l’insegnamento nelle proprie scuole della storia, della cultura e delle tradizioni delle loro minoranze nazionali. Questa è la missione, già dal 1992, di Joke van der Leeuw-Roord e dell’organizzazione da lei fondata, l’Associazione europea degli insegnanti di storia (EUROCLIO).
Qual è l’obiettivo di EUROCLIO?
EUROCLIO riunisce persone impegnate a trasmettere la storia e il patrimonio culturale alle generazioni più giovani. Lavoriamo in molti paesi europei e al di là di essi, in particolare in quelli che sono stati colpiti da tensioni interetniche o conflitti violenti nel recente passato. Creiamo reti che mirano a promuovere un approccio inclusivo alla storia. In alcuni paesi lavoriamo principalmente con insegnanti di storia, in altri con personale in campo accademico e museale. In Bosnia-Erzegovina, ad esempio, lavoriamo con un gruppo piuttosto eterogeneo, composto principalmente da storici qualificati che erano ancora giovani a guerra conclusa e che condividono il desiderio di evitare che quel terribile passato diventi parte del presente. È impressionante il modo in cui sono riusciti a collegare la dolorosa esperienza da loro vissuta a un approccio solido e professionale.
Oltre a creare reti, offriamo opportunità di sviluppo professionale e cerchiamo di favorire un impegno all’apprendimento lungo tutto l’arco della vita. In terzo luogo, ci occupiamo della questione degli strumenti d’insegnamento. Come insegnanti di storia ci chiediamo: come possiamo insegnare la storia in modo responsabile, senza porre eccessivo accento su determinati fatti e trascurarne altri? Come possiamo rendere interessante l’insegnamento della storia? Il nostro obiettivo è fare della storia una materia di cui gli studenti possano dire “mi ha dato qualcosa che resterà per il resto della mia vita”.
Come è nata EUROCLIO?
Nel 1991 il Consiglio d’Europa ha organizzato la prima riunione paneuropea sull’insegnamento della storia dopo la caduta del Muro di Berlino. Ero la presidente dell’Associazione olandese degli insegnanti di storia e il mio governo mi ha chiesto di partecipare. La prima sera ero seduta accanto al Direttore per l’istruzione del Consiglio d’Europa, che a un certo punto si voltò verso di me e disse: “sai, collaboriamo con i governi già da tempo, sin dalla fine degli anni ‘40, ma sul terreno è stato fatto così poco. Potresti cercare di creare un’organizzazione che lavori con le persone davvero coinvolte nell’insegnamento della storia?”. Sono cresciuta sotto l’ombra della Seconda guerra mondiale e della Guerra fredda, e la caduta del Muro di Berlino è stata per me un’esperienza importante. Questa richiesta mi ha fatto riflettere e mi ha indotto a mettermi in gioco. Durante la stessa conferenza iniziai ad avvicinare le persone chiedendo se rappresentassero già un’associazione. Bisogna considerare che questi erano tempi ante-internet, quindi si trattava di scrivere gli indirizzi su un pezzo di carta. Eppure, sorprendentemente, entro un anno contavamo 17 organizzazioni pronte a collaborare.
Quali nuove nozioni ha appreso grazie a questa cooperazione?
Già nel corso del primo anno sono stata testimone di un’importante presa di coscienza. All’inizio non si faceva altro che concentrarsi su queste “povere persone dell’Est” e su come dovessimo assolutamente aiutarle a insegnare bene la storia. In seguito abbiamo compreso che non erano solamente i nostri colleghi dall’ex blocco orientale a essere soggetti a pregiudizi politici. Il momento in cui ce ne siamo resi conto fu quando i colleghi comunisti si rivolsero a uno dei nostri primi membri, il presidente di un’organizzazione belga-fiamminga, dicendogli “beh, avete avuto quei grandiosi giorni rivoluzionari nel 1918”, alla qual cosa lui rispose “no, non è vero”. Tre settimane più tardi, mi chiamò: “Joke” , disse, “è vero, e non ne abbiamo mai sentito parlare. Sono fatti che sono passati sotto silenzio nella nostra storia!”.
Abbiamo così compreso che in realtà operiamo tutti sotto un ombrello politico, e che nessun paese e nessuna comunità è libera dal paradigma del pregiudizio. Lavorando assieme abbiamo imparato a riconoscerlo e a impegnarci per prevenirlo. Il primo elemento di tale paradigma è l’orgoglio. Si è orgogliosi della propria storia. Un cittadino britannico, ad esempio, dirà che in Gran Bretagna l’orgoglio per la propria storia nazionale viene prima di tutto. Il secondo elemento è la convinzione di essere sempre stati vittime. Un paese come l’Estonia, ad esempio, finirà sempre per porvi un accento particolare. Questi due elementi dipendono in una certa misura da come si colloca il paese all’interno del più ampio contesto storico. Il terzo elemento è: “ciò che abbiamo fatto di male agli altri sarà sempre messo da parte e sarà difficile farvi fronte”. L’ultimo elemento è: “tutto ciò che non riguarda la nostra storia non ci interessa”. Quindi qualcuno che abita nei Paesi Bassi non saprà nulla sulla Norvegia, o sull’Africa, a meno che non vi sia stato un legame coloniale.
Quali sono state alcune delle sfide pratiche con cui si è confrontata?
Una difficoltà che abbiamo incontrato più o meno sempre è stata quella di trovare la giusta combinazione di competenze durante lo sviluppo di un progetto. Trovare persone competenti non è difficile, ma… si tratta piuttosto dell’equilibrio di genere. Spesso negli incontri tra esperti vi è uno squilibrio verso la componente maschile, mentre nel campo dell’istruzione la componente preponderante è molto spesso quella femminile! Inoltre, nei paesi con un forte senso di indipendenza, come la Georgia, l’Ucraina, la Lettonia e l’Estonia, ci si imbatte di frequente in gruppi di associazioni poco rappresentative della popolazione generale. In Lettonia o Estonia, ad esempio, una buona parte della popolazione è russofona, e i loro rappresentanti sono da noi benvenuti. Tuttavia, sorge immediatamente un problema linguistico. Ad esempio, all’inizio degli anni ‘90 abbiamo organizzato un gruppo di lavoro in Estonia i cui membri non volevano comunicare tra loro in russo. È stato pertanto deciso di trovare un locutore anglofono nell’ambito della comunità russofona. Scoprimmo tuttavia che parlare in inglese non coincide necessariamente con l’essere un buon insegnante di storia. Alla fine, dopo molte resistenze, il gruppo è riuscito a dare maggiore importanza alla qualità dei materiali rispetto al loro desiderio di comunicare nella propria lingua nazionale.
Un’altra sfida consiste nell’adeguarsi alle preferenze dei donatori. Molti dei nostri progetti riguardano i paesi dell’ex blocco orientale, poiché qui vi è disponibilità di finanziamenti, sebbene anche in Europa occidentale vi sia del lavoro importante da fare, come risulta oggi sempre più evidente. I donatori non sempre riescono ad avere un quadro d’insieme. Inoltre le specifiche progettuali spesso richiedono l’inclusione di una determinata combinazione di paesi, anche nei casi in cui, a nostro avviso, sarebbe più utile iniziare con un progetto locale per consolidare dapprima le conoscenze di base sull’insegnamento della storia e sul patrimonio culturale della popolazione.
Quali sono stati i maggiori risultati di EUROCLIO?
La vera forza della nostra organizzazione è la creazione di organizzazioni della società civile: ne contiamo oggi più di 70, sparse in 55 diversi paesi. Abbiamo formato migliaia di colleghi e molti di loro ricoprono ora posizioni cruciali nei rispettivi ambiti politici e educativi. Sono diventati insegnanti, studiosi e storici che sono davvero in grado di rimettere in questione la storia, molto più di quanto gli sia mai stato insegnato a scuola o all’università dieci o venti anni fa.
La storia è pur sempre una questione di prospettiva. Soprattutto nei Balcani, le linee di confine tracciate dai nazionalisti spesso si sovrappongono. C’è sempre un momento nella storia in cui si può tracciare una linea e dichiarare: “tutto questo è nostro”. Noi cerchiamo di far riflettere le persone su questo punto. Non si tratta tuttavia solo dei Balcani. Si tende sempre a ritrarli come i cattivi. Anche la percezione che i tedeschi, i belgi o gli olandesi hanno dei propri confini è mutata, semplicemente non nello stesso periodo storico. È molto importante evitare che l’Europa occidentale si presenti come una società civilizzata a baluardo della barbarie: è davvero primitivo pensarlo.
Rimane ancora molto da fare per considerare le cose dal punto di vista degli altri. Dico sempre ai giovani storici di trovare ambiti di ricerca importanti e meno alla moda. Abbiamo bisogno di fatti concreti. La storia è interpretazione, ma deve fondarsi sui fatti.
Joke van der Leeuw-Roord, eminente esperta nel campo dell’istruzione, delle metodologie innovative e della storia transnazionale, è fondatrice e Consulente speciale dell’Associazione europea degli insegnanti di storia (EUROCLIO).
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